Andrea Rizzolini e i suoi “Incanti”. L’intervista.

Pronti a meravigliarci e stupirci con “Incanti“, lo spettacolo in due serate, martedì 16 e mercoledì 17 maggio, al Teatro Sala Umberto – preziosità della Capitale – spettacolo scritto e diretto dal campione italiano di mentalismo Andrea Rizzolini e prodotto da Officine dell’Incanto.

Il mondo del mentalismo, affascinante, abbinato al cogliere l’armonia delle cose ed al fluire del vivere. Sul palco – oltre a Rizzolini stesso – si alternano cinque dei più bravi e premiati illusionisti italiani under 30: Dario Adiletta, Francesco Della Bona, Niccolò Fontana, Filiberto Selvi e Piero Venesia.

Dal successo del Teatro Franco Parenti di Milano all’arrivo a Roma, questa sera e domani alla Sala Umberto: tutti e 6 i giovani illusionisti si interrogano sull’incanto, sulla sua vera natura e “sull’importanza di saperlo coltivare nella propria vita”, come ci racconta Andrea Rizzolini durante l’intervista.

Passando per le riflessioni di alcuni dei più celebri autori di teatro come Shakesperare, Goethe e Pirandello, lo spettacolo si snoda attraverso una serie di performance di varia natura, sempre basate sulle illusioni e sulle apparenze. Il pubblico viene chiamato a risvegliare il “fanciullino” che è ancora in noi, il bambino che è stato e che è ancora presente dentro la nostra anima, per riscoprire la capacità di provare meraviglia ed appunrto “l’incanto” per la vita, per le cose.

“In-cantare”, letteralmente “entrare in un canto”, diventare parte di una narrazione, di una storia, di un racconto: anche lo stesso Pascoli riteneva che ci fosse un fanciullino chiuso dentro ognuno di noi, una sensibilità profonda in grado ancora di meravigliarsi delle piccole cose, proprio come succede ai bambini.
Uno spettacolo che non sia fuori luogo sul palco di un teatro, lontano dai pregiudizi”, ci dice ancora Rizzolini.

Scrivendo lo spettacolo, l’autore-regista si è posto l’obiettivo di “colmare il divario che storicamente persiste ancora tra l’illusionismo e il teatro”, presentando l’illusionismo come qualcosa “che non rinneghi l’intrattenimento ed il varietà ma che rivendichi i palchi dei grandi teatri di prosa e l’attenzione del pubblico”. L’illusionismo “è una forma d’arte” così come la danza, la musica, tutte le arti. Rizzolini afferma che “l’incanto è un’esperienza che non sappiamo più vivere in una società frenetica, liquida, in cui diamo per scontato anche le piccole cose“.

Quando nell’uomo prevale la voce della ragione, torniamo dunque ad ascoltare il fanciullino in noi. Abbiamo raggiunto ed intervistato Andrea Rizzolini:

Come nasce lo spettacolo “Incanti”, qual è la sua idea creativa?
Incanti nasce con l’idea di portare in scena uno spettacolo di illusionismo contemporaneo che non sia costretto a sentirsi fuori luogo sul palcoscenico di un teatro di prosa. L’illusionismo, infatti, specialmente in Italia, è vittima dei suoi stessi pregiudizi e dei suoi stereotipi ciò che noi cerchiamo fare in qualche modo nel nostro spettacolo è mostrare al pubblico che in realtà l’illusionismo è una forma d’arte che così come la prosa, la danza e la musica può mettere in scena la nostra umanità e in qualche modo indagare dei temi propriamente umani che altre forme d’arte non riescono a rappresentare in modo così diretto, come per esempio l’esperienza dell’incanto, ma anche l’esperienza della speranza, della disillusione, della meraviglia.

Che rapporto c’è tra l’illusionismo e la prosa, il teatro?
Secondo me c’è un rapporto molto stretto tra diverse forme d’arte, ma purtroppo in Italia sono viste come distanti. Da una parte c’è il mondo del teatro e della danza, dall’altra c’è il mondo del varietà, del circo e della magia. Nel nostro spettacolo, invece, sfidiamo questo preconcetto, portando in scena alcuni monologhi tratti da alcuni dei più grandi testi della storia del teatro, come quelli di Shakespeare, Pirandello e molti altri. L’idea è di utilizzare questi testi per introdurre le performance che presentiamo sul palcoscenico durante lo spettacolo. La cosa che ho trovato veramente interessante di questa operazione è l’attinenza tra le tematiche di cui parlano i monologhi e l’esperienza che mettiamo in scena e facciamo visitare al pubblico. Arriviamo al punto che queste due stanze non sono più separate, ma si completano l’una con l’altra.

Come mai ancora per qualcuno, l’illusionismo è relegato al semplice “varietà”? Perché, secondo la sua opinione?
Questo in Italia è dovuto al modo in cui è stata presentata la magia in televisione e nei mass media, dove è stata spesso oggetto di ridicolizzazione da parte sia del pubblico che degli artisti che la rappresentano. Ciò che cerchiamo di portare in scena è un’operazione culturale volta a rivalutare l’illusionismo come forma d’arte contemporanea, che ha un suo linguaggio e delle tematiche di cui può parlare con una prospettiva unica, non affrontabile da altre forme d’arte. Questo dovrebbe interessare tutti noi, perché tratta di temi appartenenti alla nostra quotidianità e soprattutto alla nostra contemporaneità, la quale sta vivendo la crisi della distinzione tra realtà e illusione, tra verità e falsità.

L’illusionista può essere considerato a tutti gli effetti, un artista? E qual è l’obiettivo dello spettacolo?
La nostra idea è che l’illusionista sia un artista e quindi capace di parlare della nostra umanità e di mettere in scena la nostra umanità in un modo rilevante per la nostra contemporaneità, per noi in quanto uomini che vengono a teatro anche per vedere riflesso il proprio essere e il significato del proprio essere umani. L’obiettivo dello spettacolo è proprio questo: mostrare che ciò che abbiamo portato in scena e ciò che il pubblico ha vissuto durante lo spettacolo non è testimonianza di altro se non del fatto che noi siamo pari agli attori, ai drammaturghi, ai registi, ma anche ai ballerini, ai compositori, ai coreografi, perché tanto quanto loro siamo capaci di mettere in scena in un modo unico e particolare cosa vuol dire essere umani. Lo spettacolo in qualche modo è un grande tentativo di far cadere tutti i pregiudizi con cui il pubblico entra in sala per arrivare alla fine a dire proprio questo.

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