Fahrenheit 9/11: l’11 settembre con gli occhi di Michael Moore

«La temperatura a cui la libertà brucia!»

Tre anni dopo il drammatico 11 settembre 2001, il regista Michael Moore si presenta a Cannes con il docu-film, poi vincitore della Palma d’oro, che forse più di tutti ha scosso l’opinione pubblica di tutto il mondo, riguardo l’evento storico più significativo del 21esimo secolo.


Fahrenheit 9/11 concede una visione critica, documentata, degli eventi che hanno portato all’attentato terroristico alle Twin Towers, a partire dalle controverse elezioni del 2000, che hanno visto la vittoria del candidato repubblicano George Bush, ai danni del democratico Al Gore. Quest’ultimo, dati i sondaggi forniti da tutti i media statunitensi, era già in procinto di diventare il nuovo presidente quando l’emittente filo-repubblicana Fox News, indissolubilmente legata alla famiglia Bush, decide di passare la notizia della vittoria di Bush tramite riconteggio. Ciò la dice lunga sull’influenza politica dei media nazionali.


Il regista Michael Moore, una delle voci critiche più potenti del panorama cinematografico americano (autore del documentario di denuncia contro il possesso di armi, premiato all’Oscar 2002, Bowling a Columbine) si scaglia contro Bush, definendolo un perdigiorno, incapace di prendere le redini della nazione più potente del mondo tanto da rimanere inerme di fronte alla notizia dell’attacco al World Trade Center, continuando a leggere La mia capretta durante la visita in una scuola elementare.

Moore indaga le complesse relazioni tra la famiglia Bush ed i vertici del governo statunitense ma, soprattutto, quelle intrecciate con la famiglia di Osama Bin Laden, mandante degli attacchi e capo della cellula di Al Qaeda. Molti infatti sono i rapporti economici e commerciali tra i Bush e la famiglia dell’uomo più odiato e ricercato d’America: una famiglia tanto potente ed influente da ottenere, nel momento di massima allerta del paese per quel che riguarda gli spostamenti all’estero di cittadini arabi, un confortevole volo privato per lasciare gli Stati Uniti. Tra le numerose attività economiche dei Bush c’è la Arbusto Energy, che annovera tra i finanziatori svariate compagnie saudite e … i Bin Laden stessi. Moore sostiene dunque che l’attacco alle Torri Gemelle rappresenti il casus belli ideale per muovere guerra, nascondendo invece interessi commerciali privati che, come sostiene Moore, prevedono la creazione di un gasdotto verso l’Oceano Indiano.


Nel suo racconto di denuncia, Moore mostra il sistema di relazioni che nei primi anni del millennio ha portato alla creazione di cellule terroristiche (Al Qaeda) e soprattutto a formazioni politiche paramilitari come i Talebani, creazione statunitense in funzione antisovietica dopo l’invasione URSS dell’Afghanistan negli anni ’80. Una creatura che, come ci insegna Mary Shelley, era destinata a sopraffare il suo creatore, ed oggi uomini e soprattutto donne afgane ne pagano le drammatiche conseguenze.

Nel parlare della catastrofica questione umanitaria nei paesi, il bersaglio d’interesse del regista si sposta verso un’altra drammatica impresa marchiata USA, ossia la guerra in Iraq, la cui evidente matrice è da rintracciare più nel settore strategico del petrolio e dell’energia, piuttosto che in quello umanitario e dell’importazione della democrazia.


Non a caso la tagline sopracitata che segue il titolo del film, recita il riferimento al romanzo dispotico di Ray Bradbury, Fahrenheit 451, ossia “la temperatura a cui bruciano i libri”.