due servitori del vecchio svampito Popolo scatenano uno scontro all’ultima promessa, in cui la risata dinnanzi ai buffi personaggi si muta tutta d’un tratto in sgomento. Questa storia l’abbiamo già sentita…
Nel palazzo di Popolo, un anziano inabile e poco ricettivo, lavorano numerosi servitori. Il più amato dal vecchio padrone, e per quello odiato dai suoi pari, è il lecchino Paflagone. Un giorno, una coppia di servi giungono al punto di rottura dinnanzi all’ipocrisia del rivale, e consultano un oracolo nella speranza di trovare un modo per eliminarlo.
Ed effettivamente una soluzione c’è: è scritto che un salsicciaio, il mestiere più basso e volgare possibile, sarà la chiave per liberarsi di Paflagone e attirare l’attenzione di Popolo. E guarda caso ecco passare, cantando, un salsicciaio: è giunta l’ora dello scontro, una prova di demagogia all’ultima promessa, in cui la salsiccia da conciare è proprio il popolo.
Sin dalla concezione, I Cavalieri di Aristofane non è un copione ambiguo o sottile. Lo stesso nome greco del vecchio Popolo, Demo, presenta due diverse letture parimenti visibili: il demo era una delle divisioni del territorio ateniese, ma anche il “popolo” stesso, così facile da comprare con lusinghe e coccole così ovviamente disoneste e facili da confutare da portare a disprezzare da subito quel vecchio viziato, anche prima che entri in scena
I “Cavalieri” del titolo fanno riferimento a una classe sociale ateniese dell’epoca, la seconda più alta, composta da proprietari terrieri, che prova disprezzo verso i demagoghi – ovvero Paflagone – per il facile populismo con cui accalappiano le classi inferiori. Per usare una frase fatta: tutto il mondo è paese. Non a caso, i cavalieri sono rielaborati con un’estetica anacronistica, più vicino all’archetipo medievale, ma svolgono parimenti il loro ruolo di coro, pubblico e archetipo di cui lo spettatore deve diffidare.
Il mondo abitato da questi Cavalieri è un triste, dilapidato tendone da circo, popolato da ogni sorta di pagliaccio: malinconici Pierrot, buffoni circensi dagli abiti troppo larghi, burattini interpretati da umani e mossi da marchingegni fuori dal loro controllo, e caricature da Commedia dell’Arte che esistono unicamente nei ruoli circoscritti del loro mestiere. Non mancano episodi di commedia fisica, di umorismo grottesco e demenziale, e i costumi, con maschere rigide e immediatamente riconoscibili, creano un’atmosfera caricata ed eccessiva. Il nostro mondo, i nostri sistemi, riflessi e distorti in una casa degli specchi.
Ed è proprio sul contrasto tra la natura circense dei personaggi in scena, e il sottofondo di inquietudine e manipolazione in corso, che si fonda la sottile maestà di questi Cavalieri. Un attimo prima, al “beato salsicciaio” che capita in scena alla presenza dei due servi manipolatori è data una canzoncina in cui parla del suo lavoro, e del suo talento a “sistemare un bel maiale”. Un attimo dopo, i discorsi politici dei due questuanti si interseca con una demagogia dittatoriale, registrata, tristemente riconoscibile.
I Cavalieri, il coro giudicante, sono burattini. Il Popolo, abbigliato in un manto ampio che ricorda una tenda, e molto meno ingenuo e svampito di quanto appaia, è il circo che li muove. E la mano che dirige i loro gesti, ritratta in un eccellente poster che ricorda la propaganda brutalista del Fascismo italiano, non è una mano generosa. Alla conclusione si applaude, ma con una certa amarezza, perché anche il vituperato Paflagone proveniva da una professione umile (era un conciapelli) e si è reso potente in maniera non troppo diversa dal salsicciaio suo avversario.
Questa lettura dei Cavalieri ne fa una commedia nera, manierata, piacevolmente crudele, ma conn un fondamentale sottofondo di saggezza e giudizio. Una critica mascherata da risata, uno specchio puntato al pubblico per vedere sé stessi e le proprie imperfezioni. Nonché di diffidare del pericolo della demagogia: perché una volta sconfitti i Paflagoni del mondo, non ci sarà molto da festeggiare. I ballerini sono pupazzi, e c’è qualcuno che li muove.
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I Cavalieri – di Aristofane – Adattamento e Regia Cinzia Maccagnano – Con Cinzia Maccagnano, Luna Marongiu, Raffaele Gangale, Cristina Putignano, Marta Cirello, Andrea Maiorca, Maria Chiara Pellitteri – Maschere Luna Marongiu – Scene Linda Passi – Costumi Monica Mancini – Musiche Lucrezio De Seta e AA. VV. – Assistente alla regia Guido Bison – Produzione: La Bottega del Pane – Teatro Arcobaleno dal 28 marzo al 6 aprile 2025