“Il principe di Roma”: la recensione

Nuova commedia del regista romano Edoardo Falcone, il Dickens all’italiana, con Marco Giallini, che velatamente omaggia le grandi pellicole della commedia storica italiana.

Il regista romano Edoardo Falcone porta al cinema ciò che è a oggi la commedia italiana. Offre elementi che arricchiscono, moralmente, lo sguardo condiscendente fino all’incapacità a un rispettoso passato, la fedeltà di seguire la parabola del mascalzone, l’incapacità di liberarsi dalla timidezza morale e dall’indolenza di un finale che rassicura. Allo spettatore si apre uno scenario della Roma del 1829, potrebbe rievocare quella Roma de “Il marchese del grillo” di Mario Monicelli, anche per alcune battute che dice il protagonista, o anche, per lo spettatore cinefilo, degli omaggi alle atmosfere di Luigi Magni nel suo capolavoro “Nell’anno del Signore”.

Bartolomeo, il protagonista di Falcone, potrà vantare i suoi titoli solo dopo il matrimonio con una donna nobile insofferente di ogni disciplina, una vera ribelle, il cui padre senza un soldo ha di fatto “venduto” al parassita della società arricchito pur di pagarsi i debiti. Il principe è un uomo che si è fatto da solo, divenuto tra gli uomini più ricchi di Roma prima grazie agli introiti assicurati da un forno e poi dimesticandosi in ottimi affari, tanto da permettersi il lusso di prestare danaro a chiunque glielo chiedesse, anche a quegli aristocratici che lo disprezzano, per poi forse esigendo degli interessi elevati. Un “antagonista” cinico, avido e volgare.

A questo apparente revival di quel tipo di commedia a cui lo spettatore è abituato e affezionato, Falcone accantona questo schema troppo dal carattere nazionale, per sbalordire il pubblico con una scelta forse senza carattere, a tratti inattiva: i ricordi dell’Alberto Sordi Marchese cedono il posto a un “A Christmas Carol” di Charles Dickens. Entrano in scena fantasmi, atmosfere esoteriche, “spiriti inquieti” con lo scopo di redimere il protagonista dall’infanzia difficile che ha la brama di godere di tutto creandosi una maschera che nasconde il volto scalfito da una vita amara.

Nel corso del minutaggio filmico, appaiono sempre più lievi i riferimenti ai grandi registi del passato sopracitati, forse un atto di furbizia di Edoardo Falcone che sembra un po’ smarrirsi tra l’aggiornamento di quella tradizione “all’italiana” e, secondo lui, un aggiornamento di quei film che hanno segnato la storia del cinema.

La scelta del cast è impeccabile: Marco Giallini top, anche se volendo muovere una critica tecnica, in ogni pellicola non riesce a distaccarsi da se stesso, non sembra calarsi nel personaggio che gli viene chiesto di interpretare, ma piace lo stesso; Sergio Rubini, Filippo Timi, Giordano Bruno e Giuseppe Battiston nei panni di Papa Borgia, Giulia Bevilacqua e Antonio Bannò che spiccano nel ruolo dei servi.

La ricostruzione ambientale è notevole, così come è il ritmo sostenuto del film, ma “Il principe di Roma” appare senza forma e privo di carattere, piacevole ma non tra le top 10 dei film di Natale.

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