In guerra con Gabriele Micalizzi

Non tutti i giorni capita di essere colpiti da un razzo sparato da un combattente dell’ISIS e, soprattutto, non tutti i giorni capita di essere colpiti da un razzo sparato da un combattente dell’ISIS e sopravvivere. Ce l’ha fatta Gabriele Micalizzi, l’11 febbraio del 2019, e nel suo libro “In guerra”, scritto con Moreno Pisto, racconta la sua vita da fotografo e avventuriero, gli incontri con i grandi reporter contemporanei, le storie dal fronte, Master of Photography, la sua vita privata e quel maledetto razzo.

L’ho conosciuto Gabriele, durante un talk organizzato al Leica Store di Roma (di seguito il link: https://www.facebook.com/LeicaCameraItalia/videos/1049562008566205) per poi incontrarlo altre due volte a Milano prima e a Pianello poi, dove ha sede il collettivo Cesura di cui fa parte. Il libro rispecchia esattamente la sua personalità: schietta, dura, un po’ cinica ma anche empatica (doti fortemente richieste per chi vive gli orrori della guerra e la deve documentare) e anche leggermente narcisistica.

Durante la conferenza a Roma gli chiesi come si devono gestire adrenalina e paura, due emozioni contrastanti che però accompagnano sempre un giornalista schierato in prima linea. La sua risposta fu sincera. L’adrenalina la sente, la guerra lo sprona e l’azione lo rende vivo, ma la paura deve agire da consigliere fidato e da coscienza fittizia in modo che ti faccia capire che ogni tanto bisogna fare un passo indietro.

Lui, per sua stessa ammissione, quel giorno di febbraio ha sbagliato. “Lo sapevo, dovevo stare contro il muretto, lo sapevo. Perché io il muretto lo avevo visto. Mi dovevo spostare. Volevo farlo. Perché non l’ho fatto.” Invece, in quel frangente, forse l’adrenalina ha preso il sopravvento e lui si è ritrovato disteso sul tetto di una palazzina di Baghouz in Siria, mentre aspettava di morire. Ha cercato di tirare una sigaretta fuori dalla tasca, ma le ferite erano gravi. Non riusciva. Aveva un braccio messo veramente male, due dita erano esplose e un occhio era aperto “come un uovo alla coque”. A quel punto ha fatto un bilancio della sua vita, tuttavia era soddisfatto.

Una corsa disperata durata ore, prima su un camioncino poi in elicottero fino a un campo medico di Baghdad, gli ha salvato la vita. Tra la sofferenza, il tempo infinito che gli sembrava ormai fermo, ha ripensato alle guerre, agli ostacoli che ha superato, alla sua vita. E così poi ne ha scritto un libro.

“In guerra” procede in ordine cronologico. Parte dalla sua infanzia, un ragazzo di strada che non sa bene dove sbattere la testa e capisce ad un certo punto che la fotografia può salvarlo. Racconta cosa è per lui questo mestiere, il suo rapporto con la famiglia, gli amici e il collettivo Cesura, una realtà fotografica ormai molto importante in Italia. Racconta di Andy, Andy Rocchelli, il suo amico anche lui fotografo e figlio (o padre) di Cesura, morto in Ucraina mentre documentava la guerra del Donbass. Parla delle avventure al fronte in compagnia di grandi fotografi come Alex Majoli (di cui vi ho già parlato : https://quartapareteroma.it/scene-la-teatralita-della-vita-nella-fotografia-di-alex-majol/), Franco Pagetti, Luc Delahaye, Goran Tomašević, Moises Saman. Si dilunga in stupefacenti aneddoti che solo chi ha vissuto delle situazioni estreme può raccontare.

Micalizzi è andato a fondo tante volte, ha dovuto fare i lavori più disparati per continuare a fare quello che ama davvero. Ogni volta ha saputo rialzarsi, è riuscito ad andare avanti nonostante i “nemici”, colleghi astiosi e le delusioni. Ma lui sa perché fa quello che fa, per molti è da pazzi, sì c’è l’adrenalina, l’avventura ma l’obiettivo più importante rimane quello di fotografare per documentare, per far vedere al mondo quello che accade in Libia, in Siria, a Gaza, in Egitto e così via. Gabriele vuole lasciare al mondo la sua testimonianza e con lui tutti quelli che decidono di intraprendere questo mestiere.

Pisto e Micalizzi riescono a traslare su carta le immagini del fotografo e a narrare le sue vicende, la lettura è scorrevole, spesso colloquiale, come se si stesse parlando faccia a faccia con il protagonista. La storia è avvincente, interessante sia per un appassionato fotografo, giornalista, ma anche per chi vuole scoprire di più su questo mondo. Micalizzi fa spesso digressioni sulle vicende storiche cha ha seguito, chiarendo i contesti in cui si svolgono le sue vicende professionali.

Il libro racconta l’estenuante vita al di fuori dell’ordinario scoprendo le carte su un mestiere che continua ad essere, nonostante ogni tipo di crisi editoriale, così necessario nella nostra attuale società dell’informazione.

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