Jazz e fascismo di Luca Cerchiari

È stato ristampato, per i tipi di Mimesis, il volume Jazz e Fascismo: dalla nascita della radio a Gorni Kramer del professor Luca Cerchiari.

Con la ristampa del volume Jazz e Fascismo: dalla nascita della radio a Gorni Kramer del professor Luca Cerchiari (Mimesis edizioni), torna nuovamente in catalogo un libro che ha segnato una tappa fondamentale su questo argomento di ricerca. La prima edizione dell’opera risale all’ormai lontano 2003 e da allora il tema continua a suscitare interesse negli studi.

Il jazz durante il fascismo è stato visto, almeno fino a prima dell’opera di Cerchiari, come una forma musicale del tutto proibita. In prima linea in questa visione è La storia della canzone italiana di Gianni Borgna (1985) e ancor prima di lui Paquito del Bosco e le sue schede sul Fonografo italiano della fine degli anni Settanta. Tutti questi studi sono ampiamente citati nel testo di Cerchiari oltre a numerosi scritti d’epoca tra cui saggi e periodici.

Ma in cosa consiste la novità del lavoro di Cerchiari?

Borgna affrontato sommariamente l’argomento canzone mentre Cerchiari costruisce le sue tesi con una robusta bibliografia soffermandosi sul periodo del fascismo e utilizza il volume di Mazzoletti – Il jazz in Italia dalle origini alle grandi orchestre (1983) – come un grande bacino da cui attingere per il caso specifico del jazz.

Si può dire che il volume di Cerchiari sia stato il primo studio sistematico sull’argomento jazz e fascismo. Mazzoletti, per fare un esempio, ha dedicato pochissima attenzione ai cantanti e più in generale al canto jazz esprimendo severi giudizi su alcuni maestri come Segurini o Consiglio, definendoli entrambi «oltremodo distanti dal jazz». L’affermazione è discutibile, ma si può comprendere se si considera come jazz soprattutto la sua forma hot e non quella straight o ritmosinfonica.

Borgna, che per i suoi trascorsi politici e la sua conseguente posizione di rilievo, si accanirà in modo del tutto gratuito contro il Trio Lescano, non solo non riconoscendo alle tre Sorelle i loro meriti jazzistici ma addirittura definendole «gracili e smunte».

Cerchiari, nelle sue argute riflessioni, non nega la presenza del jazz durante il fascismo ma – allo stesso tempo – non ne riconosce il ruolo predominante nella canzone di quel periodo. Alcune canzoni sincopate sono ancora presentate come canzoni della fronda e anche le italianizzazioni dei testi italiani vengono viste solo come una sorta di meccanismo per aggirare la censura fascista. È anche presentata l’italianizzazione del nome Louis Armostrong in Luigi Braccioforte – diceria ancor oggi ampiamente diffusa – e solo recentemente messa in discussione.

Il lavoro di Cerchiari è ovviamente una ricerca figlia del suo tempo, ma che risulta ancor oggi attualissima, ponendosi come un punto di partenza obbligatorio per chi vuole affrontare l’argomento. Al libro di Cerchiari, e alle sue ricerche, si sono ispirati i volumi: Jazz Italian Style di Anna Harwell Celenza del 2017 (tradotto in italiano nel 2018 con il titolo Jazz all’italiana) e Tutto è ritmo, tutto è swing di Camilla Poesio del 2018.

Oggi le ricerche più recenti sono maggiormente disposte a riconoscere la presenza del jazz in Italia nel periodo fascista. Poesio, in modo più prudente, ne ha studiato la diffusione e l’ascolto, mentre Celenza è stata la prima ad affermare che il jazz sia stato voluto, e in alcuni casi, addirittura promosso dal regime.

Verrà a questo punto spontaneo chiedersi come sia possibile che nella storiografia ci siano punti di vista così diametralmente opposti. Come ha sostenuto Celenza, nel dopoguerra gli artisti hanno dovuto riscrivere la loro storia prendendo le distanze dal regime. E gli studi, se pensiamo a Del Bosco o Borgna, hanno avuto piacere a sostenere –  e a non mettere in discussione – il racconto degli artisti.

Con il suo pionieristico lavoro Cerchiari è stato il primo a propendere per la presenza, in qualche modo autentica, del jazz nella musica italiana nel periodo fascista, aprendo alla visione che ne abbiamo oggi.

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