Lorella sposa l’uomo invisibile

Più credibili i Fantastici Quattro di Stan Lee

Fiamma e Lorella sono le protagoniste della commedia scritta e diretta da Edoardo Erba: Il marito invisibile. Negli anni Settanta, tra i fortunati fumetti di Stan Lee – il creatore dell’Uomo Ragno, per intenderci – c’erano, qualcuno lo ricorderà, anche i Fantastici Quattro: Reed Richards, Susan Storm, Johnny e Ben (La Cosa). Reed e Susan erano regolarmente sposati e lei era la donna invisibile, nel senso che i suoi poteri soprannaturali la rendevano eterea, ma soltanto in determinati momenti, quando bisognava mettere in azione le «peculiarità» che facevano di quei personaggi dei supereroi da fumetto. Lorella, invece, vive in un appartamento abbastanza comune, usa internet, ama le videochat, prende le gocce per combattere l’ansia, lotta in continuazione contro i capelli che le cascano davanti agli occhi, e trova il coraggio di confessare di aver sposato un uomo invisibile soltanto a Fiamma, la sua amica del cuore. Stan Lee, a suo tempo, riuscì a creare intorno ai suoi eroi un contesto che rendesse plausibili le assurdità vissute dai suoi figurini disegnati per le vignette, che alternavano, alla comune esistenza civile, vicende che avevano dell’incredibile: così Reed Richards, quando era impegnato nel contrastare il male era al fianco della donna invisibile, ma nel momento del relax poteva godere di una moglie, carina, bionda e in carne; per la povera Lorella non è così, ogni possibilità di attrazione estetica e fisica le è preclusa.

Erba ci propone un caso di convivenza virtuale tra una donna in carne ed ossa e un uomo che non si vede mai e che mai nessuno ha visto, nemmeno chi li ha sposati; un uomo che, quando parla, usa incomprensibili suoni al posto di parole. Un marziano, insomma. E a Roma – anche Flaiano lo provò sulla sua pelle – i marziani non acchiappano! Una simile invenzione andrebbe proposta in una cornice idonea per renderla credibile; portarla in ribalta, tramite lo schermo di una videochiamata, in un ambiente assolutamente realistico, assume subito la presunzione di un banale bluff. La domanda viene spontanea: ma come hanno fatto questi due a sposarsi? In effetti, l’idea di Erba, che, diversamente realizzata, sarebbe stata un buon pretesto per la rappresentazione di una favola, girando sempre e soltanto intorno a questo soggetto inverosimile e, ahimè, realistico, appare scritta sull’impalpabilità della menzogna. Nulla è credibile. Non c’è mai alcuna concretezza, e anche il risvolto moraleggiante, sulla scomparsa delle relazioni sociali, perde d’effetto prima ancora che arrivi.

La messinscena è quanto di più noioso si possa immaginare su un palcoscenico. Due donne sedute, ciascuna per conto suo a un tavolino, che dialogano tra di loro, ognuna davanti a una telecamera che rimanda l’immagine sugli schermi in alto. L’uso del computer in scena diventa un detonatore della realtà, mentre in questo caso si sarebbe dovuta prediligere la fantasia. Invece, in scena non accade mai nulla. E dopo venti minuti di tedio, in platea, o si dorme o ci si lascia coinvolgere, per disperazione, dall’immobilità del bidone dell’umido che divide i due ambienti.

Siamo certi che Marina Massironi e soprattutto Maria Amelia Monti meritino di più. È un peccato vederle impegnate in un fumetto dove mancano i disegni.

Accanto al sottoscritto sedeva un bambino (undici, forse dodici anni); essendo quindi molto più giovane di me, per curiosità, ho chiesto se lo spettacolo gli stesse piacendo; no, decisamente si stava annoiando anche lui. «Il marito invisibile» non ha creato neanche un conflitto generazionale.

I titoli di coda che scorrono sullo schermo, come in un film, sono stati l’ultima genialata di una serata da dimenticare.

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Il marito invisibile, scritto e diretto da Edoardo Erba; con Maria Amelia Monti e Marina Massironi. Teatro Quirino, fino al 10 dicembre

Foto di copertina: Maria Amelia Monti e Marina Massironi in «Il marito invisibile» di Edoardo Erba

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