Omissis di Alessandro Paschitto

Omissis di Alessandro Paschitto, un debutto a suon di “Siate vivi!”

Omissis di Alessandro Paschitto ha debuttato al Ridotto del Mercadante lo scorso 21 novembre con un testo dirompente, frammentato e dai linguaggi sconnessi e provocatori la cui scena iniziale è stata interrotta da un polemico Antonio Capuano che ha urlato agli attori: “Non fate i morti, siate viti”. Il pubblico ha protestato e il regista è stato invitato a uscire. Sappiamo che il teatro è un evento, un qui e ora diverso ogni sera e quello della prima di Omissis in effetti lo è stato. A mio avviso l’intervento di Capuano, seppur provocatorio e polemico dal suo punto di vista è stato invece un pezzo fondamentale di questo debutto e ciò perché a sua volta il testo di Paschitto spinge a una risposta, stuzzica lo spettatore, stimola la riflessione, pertanto: perché non rispondere?

Omissis di Alessandro Paschitto
©ivan nocera per teatro di napoli

Gli attori pongono dei quesiti, dei dubbi ai quali come dicevo si viene chiamati a rispondere, sui quali si “dovrebbe parlare”, ma per ogni questione messa nel piatto ecco che essa viene subito messa da parte perché “non è di questo che dobbiamo parlare, però DOBBIAMO parlare, da qui la ragione del titolo che si riferisce evidentemente all’omissione, allo spostamento dell’attenzione.

Psachitto con il suo testo sembra volerci dichiarare che nel nostro contemporaneo non facciamo altro che spostare l’attenzione da ciò di cui dovremmo discutere e continuando a fare in questo modo finiamo per sovrapporre strati su strati di conversazioni finendo per dimenticare il nocciolo della questione, ciò di cui davvero si dovrebbe parlare.

Cosa accade dunque in scena? Innanzitutto in uno spazio scenico quadrato, con gli attori già in posizione ci attendono in una sospensione fuori dal tempo mentre il pubblico prende posto intorno al quadrilatero dove dapprima troviamo solo due attori, Raimonda Maraviglia e Francesco Roccasecca in piedi ma immersi ciascuno nella propria porzione di scena. Un buco quadrato sostanzialmente e tutta la piattaforma che un po’ alla volta si alzerà sempre di più fino a sommergerli e ricoperta da uno strato di acqua che funge anche un po’ da specchio. In pratica è come se fossero immersi nell’acqua e la schematizzazione della cosa attraverso la piattaforma in movimento con pochissimi oggetti di scena, per lo più pistole ad acqua e una barchetta che galleggia va a costituire il non – mondo fuori dal tempo in cui si svolte il dialogo concitato e frammentato di Omissis.

Nel corso di questa conversazione spezzata, interrotta, fatta di omissioni appunto e di dubbi sottoposti a raffica man mano subentrano altri due personaggi, anche loro senza nome, nessun personaggio ha un nome perché sono come gli everymen del teatro inglese, loro sono tutti e allo stesso tempo nessuno e urlano le loro domande rivolgendosi anche alla platea (ecco perché forse la reazione di Capuano per quanto disturbante è stata forse la più giustificata).

Lo spettacolo ha diversi momenti in cui le domande, i dubbi, le urla degli attori che vengono a scuoterci dal torpore ci trascinano nel nostro abisso, l’abisso dell’esistenza umana fatta di cose per lo più inutili, tante distrazioni che ci distolgono da tutto ciò di cui dovremmo parlare davvero. E in che mondo siamo se non in quello degli acquisti compulsivi, del mercato, del mondo effimero di internet mentre mali incurabili, morte, dolore e orrori, guerre stuprano il nostro esistere? Il finale con l’arrivo di una quinta presenza in scena sarà la conclusione, forse più ovvia che ci si possa aspettare da tutto questo conato esistenziale che tuttavia sembra voler lasciare un barlume di speranza, verso un futuro in cui “fra cent’anni” tutte le cose per cui ci si sbatte ora non esisteranno più o saranno profondamente diverse.

L’abisso è ben rappresentato dalla scena essenziale ma che si imprime nella mente realizzata da Luigi Ferrigno e agita da un gruppo di attori che rende lo spettacolo uno spettacolo interessante perché fra i quattro (Anna Gualdo, Raimonda Maraviglia, Francesco Roccasecca, Giuseppe Sartori) c’è equilibrio, creatività, estro artistico e una grande padronanza della scena e del testo resa evidente dal fatto che l’interruzione aggressiva di Capuano avrebbe steso chiunque ma loro hanno resistito e hanno agito. Per rispondere a Capuano che mi ha regalato senza sapere il titolo e la chiave di lettura di questa recensione, sono stati vivi!

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