Sanctuary: un’Odissea sentimentale

Se pensavate di averne vista abbastanza su sesso e giochi di potere, andate a vedere Sanctuary, ora nelle sale, e capirete che la materia su cui lavorare è ancora tutta da scoprire.

Zachary Wingon firma uno dei film più intensi dell’anno, sia da un punto di vista tematico, sia narrativo. Questo articolo, privo di spoiler perché letteralmente impossibile farne, mira a decifrare i riferimenti cinematografici e culturali, le tecniche di regia e gli elementi di sceneggiatura che fanno di un film, un gran bel film.

Se leggendo la trama di questo film pensate che sia un classico drama di seduzione erotica, magari anche un po’ più spinta, ebbene vi sbagliate di grosso. E vi tolgo subito ogni dubbio: non c’entra nulla con 50 sfumature di grigio. Siamo di fronte a un film pensato, girato in una sola stanza, con costruzione magistrale di trame e dialoghi tra i due protagonisti Christopher Abbott e Margaret Qualley. Overthinking a livelli nolaniani, Il film saggiamente diretto da Zachary Wingon si svolge tutto in una stanza, con i due protagonisti che si palleggiano il ruolo di potere sull’altro.

Più che il tema amore-sesso (per altro caldissimo e molto gettonato nel dibattito giovanile), il reale protagonista della pellicola è l’apparenza. Da un certo punto di vista si potrebbe quasi definire “sofistico” come approccio di narrazione di qualcosa o qualcuno e il loro contrario, in un’eterna dottrina dell’eterno ritorno dell’eguale che pervade tutto il film.

Al di là di come tecnicamente sia ben realizzato, con inquadrature vorticose, musiche psicotiche e atmosfera di limbo sospeso tra il reale e la finzione, Sanctuary è una sintesi tarantiniana (nel senso di originale rielaborazione di modelli filmici passati) di diversi riferimenti che hanno fatto scuola nel loro genere.

Anzitutto nella forma: il film, girato esclusivamente in una stanza pinteriana, con al massimo scene sul corridoio antecedente alla porta d’ingresso della camera d’hotel. Considerando anche il continuo cambiamento dell’asset dei ruoli, e perché no anche le scene “tira e molla” nel corridoio vicino l’ascensore, non si può prescindere dalla costruzione di Carnage di Roman Polansky.

Così come non ci si deve lasciar sfuggire la dotta scelta dei nomi: Cristopher Abbott si chiama Hal, e letto nell’ottica di ribaltamento dei giochi di potere (nel suo caso da “schiavo” a “padrone”) dobbiamo per forza pensare al celebre robot HAL di 2001: Odissea nello Spazio. Così come in una lettura forse romanzata, ma realmente affascinante, Margaret Qualley si chiama Rebecca. Non sarebbe nemmeno l’unico riferimento ad Hitchcock, dato che lo spirito del padre di Hal entrerà nel corpo di Rebecca, ricordando, a generi invertiti, la madre di Norman Bates in Psyco.

Sanctuary – Lui fa il gioco. Lei fa le regole – Un film di Zachary Wigon – sceneggiatura di Micah Bloomberg – Con Margareth Qualley e Christopher Abbott e con Danita Battle, Rene Calvo, Christian Casatelli, Francisco Castaneda, Dominic Defilips, Kathie Young – Una produzione Rumble Films

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