“UN ALTRO MARE” DI CLAUDIO MAGRIS: LA RECENSIONE

 

di Miriam Bocchino

 

“Un altro mare” di Claudio Magris, edito dalla Garzanti, è un romanzo dalla penna elegante e sapiente. Le parole forbite ma mai artefatte riescono a condurre il lettore nella vita del suo protagonista, Enrico Mreule.

Partito su una nave diretto per il Sudamerica, per sfuggire al militare, giunge in Patagonia. Lungo il viaggio entriamo interamente in contatto con i suoi pensieri: ricordi di ieri e poche illusioni verso il futuro che lo attende.

Solca i mari Enrico, così come i pensieri. Ci conduce nella sua vita, quella appena abbandonata. L’autore ci presenta il protagonista sin dalle prime pagine.

“Enrico Mreule nato a Rubbia il 1° giugno 1886 da fu Gregorio e Giulia Venier, residente a Gorizia via Petrarca 3/1 dal 1888, maturità conseguita nell’imperialregio ginnasio…”.

Parte Enrico il 28 novembre 1909, alla soglia della Prima guerra mondiale, senza avvertire nessuno, se non i due amici di sempre, Nino e l’insostituibile Carlo, “l’amico che doveva empirmi tutto lo spazio ed essermi il mondo, ciò che io cercava”.

Sulla nave “Columbia” Enrico porta con sé la sua esistenza, plasmata dalla presenza di Carlo che è, per egli, essenza insostituibile. Il lettore ne prenderà totalmente coscienza nelle pieghe delle pagine; la vita di Enrico diventerà reminiscenza di quella di Carlo, soprattutto quando l’amico morirà.

“Su quella nave che ora fila nell’Atlantico, Enrico sta correndo per correre oppure per arrivare, per aver già corso e vissuto?”

La sua figura diverrà estraniante per il lettore, il quale non riuscirà mai totalmente a comprendere Enrico.

Egli da persona erudita, gran conoscitore delle lingue giunge ad una vita di stenti, di mancanza di agi e di solitudine; solitudine non data dalla condizione di povertà in cui si trova a vivere in Patagonia, come gaucho, ma dal desiderio che quella solitudine diventi sua amica, anche quando la vita lo riporterà indietro, nella sua terra natia.

“Questo viaggio non sarà una fuga, partire un po’ morire, ma vivere, essere, stare fermi. Saranno le paure, le ambizioni, le mete a fuggire e a svanire”.

Magris ci racconta un personaggio che pare privo di pulsazioni; un protagonista alienante nel suo essere diverso da ciò che gli esseri umani crediamo debbano essere.

Egli pare parvenza e ricordo; ricordo di una vita giovanile vissuta con Carlo, Nino, Paula, Argia e Carla. Presenze del passato che porterà con sé in eterno, rifuggendo gli altri esseri umani, considerati privi della loro grandezza.

In Patagonia Enrico vivrà la sua solitudine, tra il rumore della natura e quello degli animali.

“Non conta i giorni, né le settimane, calcola il tempo secondo unità più elastiche e labili, la prima folata di nevischio, lo scolorire dell’erba, il periodo dell’accoppiamento del guanaco.”

Solo la filosofia a fargli compagnia, alla ricerca di un’ideale di perfezione che la vita non possiede. È stato Carlo a insignirlo di quel compito, a rappresentarlo come colui che possiede la verità e la libertà.

“Se Carlo vuole così, Enrico farà il cammino, cambierà cerchio, salirà là dove la libertà e il silenzio di chi nulla chiede splendono e scaldano le cime degli alberi nel rosso del tramonto.”

Il rientro a Gorizia, dopo anni di lontananza, sarà per Enrico estraniante, nulla è più uguale e più che un rientro pare un nuovo inizio.Enrico è cambiato e ritornato ancora più ostico nei confronti degli ornamenti dell’esistenza, ligio alle regole e alle leggi, anche quando si rende conto che la durezza è eccessiva.

Sullo sfondo la guerra, l’avvento del comunismo, con i suoi morti e i suoi poveri. Anche Enrico, che rifugge ogni pensiero politico, ne diviene per un attimo il protagonista. Enrico, infine, si rifugia a Salvore, sulla punta dell’Istria, alla ricerca di un’esistenza di cui, a noi lettori, rimane il mistero dell’anima.

“Non scrivere, non decidere, non avere fretta; tenersi all’argia, alla quiete, stare immobili come una quercia a guardare il mare”.

Quale mistero cela uno sguardo che osserva al di là del mare?

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